A
fine agosto del 1964 mio padre, amante di tutti gli sport e
moderatamente juventino, così moderatamente che l'esserlo non gli
impediva di simpatizzare, essendo milanese di nascita e mentalità, per
l'Inter, situazione storicamente incompatibile, decise di portarmi al
vecchio Comunale ad assistere all'amichevole di precampionato in
notturna fra il mio adorato Toro e la Fiorentina di Hamrin e tanti
nazionali anche ex granata come Petris e Castelletti. Si era accorto che
l'estate per me era stata sconvolta dlla notizia che un tal Gigi
Meroni, talentuosissimo giovane del Genoa, oltretutto nato a pochi km
dalla Bovisa dove era nato lui (zona già considerata periferia di Milano
e confine sud di quella Brianza di cui Como, citta natale di Gigi, ne
costituiva quasi il confine a nord) e per farmi felice e per curiosità,
tornando a casa dal lavoro un po' prima mi fece impazzire di gioia
mostrandomi due biglietti per la partita serale. Avevo quindici anni e
il calcio per me era l'unico svago concessomi al di fuori dello studio.
Il Toro stava in cima a tutto e quindi lascio a voi immaginare
l'emozione che provai quella sere. Lo stadio era colmo, tanta era
l'attesa per quell'esordio da parte della città che tifava giusto,
inoltre si dovevano vedere altresì l'altro acquisto e altro Gigi, cioè
quel Simoni che approderà in nazionale in un'Ungheria-Italia pre
mondiali 66, anche se il radiocronista ( niente tv allora per i match
non di grande importanza) lo confonderà con un altro Gigi, addirittura
Riva, alla sua prima convocazione in azzurro ma che esordirà in un'altra
occasione. Rientrava dal Genoa dove era andato in prestito un altro
cuore granata, Natalino Fossati, che sarà per un decennio il numero tre
del Toro dell'ineguagliabile Presidentissimo Orfeo Pianelli. I miei
occhi però rimasero incollati per tutto il tempo su quel groviglio di
nervi, muscoli, estro, colpi geniali e movenze feline che giostrava
sulle fascie, ora a destra e ora a sinistra secondo i dettami del povero
Rocco, roccioso come calciatore del Padova e burbero allenatore di
Milan prima e Toro per quei tre anni che coincisero con i tre della
farfalla granata. Ero affascinato nel vedere come, con finte continue e
movimenti imprevedibiliche lo portavano a cambiare direzione di
continuo, si liberava di tal Robotti, terzino poderoso dei viola e della
nazionale azzurra e del quale nutrivo grande stima. Ero felice e
l'indomani a scuola non riuscii a seguire la lezione di storia per
l'eccitazione che non si placava tanto che la profia (così chiamavamo i
professori) accorgendosi che invece di seguire la lezione continuavo a
scarabocchiare su un foglio, mi chiese cosa stessi facendo e di
portargli il foglio. Quando vide che avevo disegnato un toro con sul
corpo i nomi dei calciatori con quello di Meroni gigantesco, pur non
sapendo neanche chi fosse ma lei stessa simpatizzante per i nostri
colori, si limitò a dirmi che mi avrebbe interrogato la lezione
successiva e mi fece un sorrisetto ammiccante. Ancora un ricordo legato
all'ammirazione che ho sempre nutrito per Meroni mi fa tornare indietro
alla coppa dei campioni 68/69. Devo confessare che l'unica mia
passione calcistica extra Toro l'Ho provata per Gianni Rivera perchè
incarnava nel ruolo e nella tecnica ciò che sempre mi è piaciuto di più
in questo gioco. Decisi di andare a vedere a San Siro Milan- Manchester
United per ammirare Rivera e vedere all'opera il MU che era campione
europeo in carica e annoverava fra le proprie fila il pallone d'oro
Denis Law. Lo scozzese è stato l'unico pallone d'oro che abbia
militato nel Toro seppur per un anno solo. Rivera nel pre
riscaldamento avvertì problemi muscolari per cui non scese in campo
mandando deluse le mie aspettative e vanificando quella trasferta a
Milano. Al suo posto giocò un altro prodotto importante del vivaio
granata: Romano Fogli. Inutile dire che la partita perse subito
interesse per me cosìi mi distrassi pensando che il destino con il Toro
fu atroce perchè ci sottrasse un campione come il Gigi e un pauroso
incidente fu una delle cause per cui un altro grande campione come
Law non si ambientò a Torino e la prepotenza di un novello Don Rodrigo
sotto le sembianze di un presidente di calcio cittadino che si invaghi
del biondo scozzese dal gol facile, convinse i tifosi del Toro a
rimandare in patria il giovanissimo numero dieci granata. In campo mi
sembrava di rivedere in Bobby Charlton la tecnica e l'intelligenza
calcistica di Moschino, inimitabile suggeritore e regista del Toro di
Rocco e poi di Fabbri fino a Giagnoni, in Stiles, mediano mastino e
tostissimo, la grinta e la passione di Ferrini, in Jakie Charlton,
fratello di Bobby, la stessa eleganza e puntualità nelle chiusure
Fulvio
Altro sulla farfalla granata alla pagina:
http://culturagranata.blogspot.it/2012/10/video-tributo-gigi-meroni-la-farfalla.html
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