Sono sempre stato Granata, non sarebbe potuto essere
altrimenti, ero un semplice soldato-minatore dell’esercito sabaudo durante il
sanguinoso assedio di Torino del 1706. La mia storia la conoscono tutti i
torinesi, c’è chi sostiene che io abbia dato la mia vita consapevolmente per
salvare Torino dai francesi, altri invece che io l’abbia persa soltanto perché
la miccia che ha fatto detonare l’esplosivo in quella maledetta galleria fosse
troppo corta e non mi ha dato il tempo di fuggire. Ma cosa importa? Sono caduto
adempiendo al mio dovere.
Veglio su Torino dalla collina di Superga, dalla Basilica
fatta costruire da Vittorio Amedeo di Savoia a ricordo di quella incredibile
Vittoria. Sì, avete capito bene, è anche un po’ colpa mia se il Grande Torino è
stato annientato quel maledetto giorno del 4 Maggio del 1949. Corsi e ricorsi
storici per una Squadra maledetta ma irresistibile per fascino: in fondo colui
che ha investito la
Farfalla Granata è poi diventato Presidente del Torino Calcio.
Come mai il Toro? I gobbi o pigiami erano nati da un gruppo
di studenti del Liceo Massimo D’Azeglio, liceo borghese della Città e io invece
sono frutto di quella che voi ora chiamate working class, di conseguenza è stato
facile parteggiare per quella maglia di colore Granata che richiama al
sacrificio.
L’amore totale è scoccato ammirando le gesta di Capitan Mazzola e compagni da
lassù, prima il calcio non è che mi interessasse molto, ma poi sono arrivati
loro che mi hanno incantato e che hanno ridato speranza a un’intera generazione
di Italiani nel dopoguerra, un po’ come avevo fatto io durante l’assedio del
1706 per i miei concittadini Torinesi.
Mi ricordo ancora il 4 Maggio del 1949, il giorno in cui li
ho conosciuti di persona, sono arrivati da me dopo lo schianto sulla parete
della Basilica dell’aereo che li trasportava. Ho stretto la mano al Capitano
con un’emozione senza pari, avevo di fronte a me la Squadra di Calcio che
aveva allietato alcuni momenti di un’eternità passata a vegliare i Torinesi. Ma
dopo la felicità equiparabile a quella di un bambino che incontra i suoi idoli,
la tristezza ha invaso il mio cuore, il mondo non poteva più ammirarli, da quel
momento gli unici campi che avrebbero
solcato sarebbero stati quelli del Paradiso. Valerio Bacigalupo accortosi del
mio stato d’animo, mi ha appoggiato una mano sulla spalla e con un sorriso da
guascone mi ha sussurrato: “In fondo non mi dispiace non invecchiare”.
Da quel giorno, insieme non ci perdiamo più una partita del
Toro e se vi soffermate per un attimo ad ascoltare il vento potrete sentire le
nostra urla di incitamento… Le mie sono facili da riconoscere, sono in
piemontese.
Pietro Micca
stupendo articolo, degno di cultura granata
RispondiEliminaWOW! :-)
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