Il dubbio si
insinua, perché la domanda in realtà non è retorica nonostante per molti
la risposta sia scontata. Evidente forse, uguale per tutti certamente
no.
Il
Toro è una società sportiva, quindi il suo possesso è di chi investe in
essa del denaro o è di chi sopravviverà per sempre come memoria storica
e linfa vitale? E’ del presidente di turno o della tifoseria granata?
La
risposta più semplice e pragmatica è una soltanto: una società privata è
ufficialmente intestata al suo presidente che, salvo titoli onorari di
facciata, è anche colui che guadagna o perde denaro a seconda della sua
competenza gestionale. Il Torino Fc è dunque di Urbano Cairo.
La
seconda possibilità è certamente più romantica, ma al contempo tortuosa
da argomentare. Una società sportiva che voglia esistere a dispetto dei
risultati e delle successioni presidenziali ha a disposizione una sola
costante: la tifoseria. Passano i proprietari, scorrono gli album di
figurine, sulla panchina si siede un allenatore dopo l’altro, ma i
colori sono sempre gli stessi e a sventolarli ci pensano per decine e
decine di anni i medesimi volti; scomparsi quelli a rimpiazzarli sono
spesso i familiari, gli amici di tutta una vita, i fratelli di tifo…
Dovendo
preoccuparsi di non azzardare risposte decontestualizzate dall’economia
contemporanea, tanto la prima quanto la seconda possibilità
risulterebbero parziali. Nel calcio dei contratti faraonici e delle
ingenti spese gestionali è realmente difficile chiudere tutte le
stagioni in attivo, quindi qualche facoltoso imprenditore che di tasca
propria rimpinguerà le casse societarie ci vorrà sempre. Tra i contratti
faraonici non si devono considerare solo quelli generosamente elargiti
ai giocatori, ma anche quelli legati alla produzione multimediale: in
base a cosa si spartiscono i ricavi di radio e televisioni? Tra gli
altri fattori anche in base al bacino di utenza ed al numero di tifosi
acclarati. Quindi più tifosi ci sono e più potenziali soldi ha a
disposizione una società sportiva.
Il
circolo vizioso si spezzerebbe con l’azionariato popolare, la qual
pratica è tuttavia sostanzialmente sconosciuta in Italia; premettendo
che la sua effettiva stabilità non è ancora stata testata a sud delle
Alpi, si consideri che il nostro è un paese in cui il potere politico si
lega molto più facilmente ai singoli individui, dunque i dubbi circa
l’efficienza dell’azionariato restano. La realtà, piaccia o meno, è
comunque che attualmente il Toro non è gestito con questo sistema,
sicchè la domanda “di chi è il Toro” continua a porsi in essere.
Razionalmente
si ha l’impressione che in caso di realtà medio-grandi, qual è
potenzialmente la piazza granata, la scelta più comoda possa ricadere in
una diplomatica via di mezzo tra presidente proprietario e tifoseria.
In Italia nemmeno Moratti, sicuramente l’unico vero magnate benefattore
del calcio, potrebbe rinunciare a cuor leggero alle decine e decine di
milioni legate a diritti tv e merchandising. In assenza di un vero
nababbo in grado di considerare inezie 40 o 50 milioni di euro,
qualunque proprietario avrà sempre bisogno di un background solido che
possa consentire entrate costanti in grado di ammortizzare i suoi
esborsi personali.
Dunque,
si configura una realtà di interdipendenza tra le parti il cui
obiettivo primario dovrebbe essere unico per entrambe. Giunti a questo
punto gli schieramenti proliferano.
Chi
ci garantisce che il presidente non sia un profittatore a caccia di
popolarità e soldi facili? A maggior ragione riferendosi ad Urbano Cairo
il dubbio potrebbe essere giustificabile: preso il Toro a poche
migliaia di euro, avrebbe potuto speculare tranquillamente. D’altro
canto, ribatte lo schieramento contrapposto, gli investimenti fatti in
questi anni sono sotto gli occhi di tutti: non si può oggettivamente far
finta di non notare gli acquisti relativamente onerosi e, soprattutto, i
contratti troppo remunerativi a giocatori che hanno successivamente
deluso a livello umano e sportivo.
Sul
tema: chi ci garantisce, ad ogni buon conto, che la tifoseria
organizzata non abbia interessi economici nel prediligere questo o quel
presidente? Come si può dar credito alle parole di chi afferma
orgogliosamente “meglio falliti piuttosto che con tizio”? Per contro, la
replica è semplice: fino ad ora abbiamo assistito a contestazioni nei
confronti di tutti gli ultimi cinque presidenti, quindi la garanzia che
non ci siano interessi dietro se non il bene della squadra è presto
dimostrata.
Una
domanda sorge a questo punto spontanea: chi ci garantisce, alla fine
della fiera, che società e tifosi stiano realmente facendo il possibile
per il bene della squadra? Non volendo schierarsi né con l’una, né con
l’altra parte, si direbbe che la lotta si sta spostando su un piano
prettamente personale: da un lato un imprenditore molto orgoglioso che
non accetta né la sconfitta né soggiace alle minacce, dall’altro una
fazione che identifica con il demonio l’uomo che, primo in quasi
vent’anni, non è scappato a gambe levate non appena il malumore è
sfociato in contestazioni esplicite e violente. Da un lato una persona
troppo impegnata a difendersi dalle stoccate, dall’altro un gruppo
morbosamente attirato dagli affondi. In mezzo, come uno scudo ormai
logoro dalle mille e più percosse, il povero torello ormai esangue.
In
un momento così delicato, alla faccia della logica più ferrea o della
burocrazia più minuziosa, il Toro potrebbe essere semplicemente del
primo che si preoccuperà realmente di proporsi positivamente in nome di
una seppur minima riscossa.
Concludendo,
sul piano legale il Torino Fc ha indubbiamente un unico e riconoscibile
proprietario, il quale potrebbe usare la società alla stregue di un
giocattolino senza per questo essere perseguibile per legge. Non essendo
uno sceicco che pranza a pane ed oro, non essendo un grande conoscitore
di calcio, non ci resta che una speranza: impari il più in fretta
possibile a destreggiarsi in questa gabbia di matti. Sperperare soldi
non è la soluzione e lo abbiamo capito tutti, ma nemmeno lesinare sulle
migliaia di euro ci porterà molto lontani.
Sul
piano romantico, ma ancor più su quello della memoria storica, il Toro è
stato, è e sempre sarà rappresentato in prima istanza dalla sua
tifoseria. Ad essa il compito di promuoverne le qualità più naturali; ad
essa il compito di proteggerne, a dispetto dei risultati, il blasone e
l’onore. Possiamo anche perdere sul campo, ma fuori dovremmo sempre dar
l’idea di essere inimitabili. A ben pensarci, studiando un po’ la storia
recente del Torino, come un’epifania si è rivelata una realtà piuttosto
scioccante: stiamo contestando praticamente da vent’anni. A parere di
chi scrive, non è certo in tal modo che si avanzano i diritti di
proprietà…
Post pubblicato su Cultura Granata da Paolo il 1 novembre 2010.
Insomma il Toro nn sarà più Toro ma resterà cairese fin quando ci sarà il ciaparat
RispondiEliminasaluti
beppe