Il lunedì successivo a Torino-Palermo, in una delle tante
bellissime piazze del centro, incontrai che passeggiava insieme alla sua
famigliola uno dei calciatori di questo Toro dal rendimento costantemente sopra
la sufficienza in tutta la stagione. Atleta al quale non si può addebitare
nulla di quel patetico pareggio con i rosanero allenati, in quella occasione
dall’odiatissimo torinese Gasperini. Rivolgendomi a lui con il sorriso sulle
labbra in una sorta di simpatica esortazione gli chiesi di vincere qualche
partita e ridarci un po’ di entusiasmo. La sua risposta fu che con due sole
vittorie saremmo stati salvi. Non replicai per non importunare chi si stava
godendo la giornata di riposo con i suoi cari ma dentro di me fui subito invaso
dallo sgomento per quella risposta data in assoluta genuinità e buona fede ma
che denotava l’incapacità che hanno i giocatori di questa squadra a comprendere
lo stato d’animo dei suoi tifosi. Probabilmente, con quelle parole, voleva
rassicurarmi che non c’era pericolo di retrocessione temendo questa fosse la
mia preoccupazione. Purtroppo l’angoscia che attanaglia il tifoso del Torino di
vecchia data e nel mio caso di vecchissima data, è proprio figlia di quelle
parole: non ne possiamo più di galleggiare per un paio d’anni sul fondo della
classifica e poi sorbirci per tre anni la serie B! Abbiamo diritto anche noi a
qualcosa di più! Non tanto quanto i tifosi di Napoli o della Fiorentina o della
Lazio, ma almeno come i tifosi di
squadre che non hanno mai vinto uno scudetto come Catania e Udinese. Da anni
non battiamo una squadra che ci sta davanti e quest’anno il massimo della
soddisfazione è stato un pareggio a San Siro contro i nerazzurri di
Stramaccioni (mica Mourinho) dove dopo di noi hanno vinto Pescara e Bologna, e
una vittoria al fotofinish con l’ultima in classifica in virtù di un rigore,
uno dei tanti contro, sbagliato da chi non sbaglia mai: l’ex idolo della
Maratona Rosina. Com’è possibile per i giovani avvicinarsi al Toro se in questi
ultimi vent’anni, dopo la
Coppa Italia vinta a Roma nel ’93, non hanno avuto più nessun
motivo per entusiasmarsi se non un paio di promozioni dalla serie B alla A? La
mia generazione ha visto la rinascita della squadra negli anni sessanta dalle
macerie di Superga grazie al miglior vivaio di Italia capace di produrre in
quegli anni nazionali come Fogli, Castelletti, Petris e poi Vieri, Poletti,
Agroppi, il grande Ferrini per tacere di chi pur non provenendo dalla
formazione del Fila a questa maglia ha dato molto sentendola sua come Puja e Simoni, anch’essi approdati in quegli anni in
nazionale per tacere di quel fuoriclasse in tutte le sue manifestazioni che
rispondeva al nome di Meroni. Negli anni settanta c’è stata la consacrazione di
quei valori che già con Giagnoni ci riavvicinarono alla lotta per il titolo che
arrivò con Radice. Niente di tutto questo è capitato di vedere dai giovani che
oggi stoicamente tifano Toro. Poco o niente anche della squadra della metà
degli anni ottanta che con Junior, Dossena e Zaccarelli contese al Verona uno scudetto
storico. Anche della bellissima squadra che Mondonico, schierando campioni come
Lentini, Scifo, Martin Vasquez e capitan Cravero, portò a contendere al mitico
AJiax la Coppa Uefa. Per
avvicinare nuovi tifosi e ridare linfa alla passione mai sopita ci vuol altro
che due misere vittorie per ottenere una salvezza senza infamia e senza lode. Stasera,
contro la Lazio,
ci aspettiamo quello che non è ancora successo e cioè un bel successo e niente
altro per cacciare lo sconforto.
Fulvio
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