La sfida al Cibali si riempe di grandi significati perché si
tratta dell’ultima partita del girone di andata di questo nostro come sempre
tribolato campionato in serie A dopo tre anni di inferno (il purgatorio per il
Toro non esiste). Andare al giro di boa con una
buona scorta di speranze che non siano solo illusioni, per il Torino
sarebbe un’iniezione di fiducia e una
tregua alle critiche che da sempre i tifosi riservano alla presidenza nei
momenti-no della squadra. Guardiamo negli occhi la realtà e consideriamo che la
storia del Torino nel bene, riscontrabile ormai in un passato remotissimo, come
nel male, cioè quello che attraversiamo senza sosta da Amsterdam ad oggi, è
stata condizionata da Presidenti
fenomenali, pochi, o disastrosi, la maggioranza. L’attuale Presidente,
quell’Urbano Cairo, acclamato una sera d’estate affacciato ad un balcone di
Piazza dell’erbe, al fianco dell’allora Sindaco Chiamparino, come il salvatore
in grado di far risorgere dalle ceneri una società di calcio, il Torino ex AC
diventato per miserevoli beghe cittadine (CREDETEMI FU COSI’) FC, o non ha capito
niente di cosa è il TORO e di cosa sono in grado di fare i suoi tifosi o finge
di non capirlo per evitare di esporsi economicamente in maniera non consona
alla sua filosofia di imprenditore per caso. Sia chiaro che la mia non è una
critica volta a dare tutte le colpe a colui che per un anno ha dato al popolo
granata la speranza che tutto il brutto fosse alle spalle perché le disgrazie
hanno sempre radici profonde che si formano negli anni e che portano i nomi di
Borsano, la faina che si credeva più astuta delle volpi, Goveani, il presidente
farsa, Calleri, detto Attila (dove passa
non cresce più l’erba), i Genovesi Vidulich & C., gente venuta a Torino
convinta di fare affari facili e infine Ciminelli, messo lì dalla triade degli
avvoltoi della squadra di Venaria perché
preparasse il funerale allo scomodo rivale più amato in città. Cairo rispetto
costoro ha grossi meriti in fatto di onestà e oculatezza nel gestire i conti
societari, ma manca, è un mio convincimento, della capacità di vedere in
prospettiva le fortune che questa società può rappresentare per chi, con
coraggio e lungimiranza si decide ad investire
non cifre spropositate ma adeguate. Naturalmente con queste mie parole,
dette all’inizio del mercato di gennaio, mi espongo a clamorose smentite.
L’arrivo di due o tre giocatori di personalità e qualità ragguardevoli renderebbero ridicole le mie critiche ma
purtroppo, dopo sei anni trascorsi ad aspettare cambiamenti di rotta che non
sono mai arrivati e viste le avvisaglie che il mercato del Toro mostra, temo
che la musica sia sempre la stessa. A Catania non bisogna perdere in ogni caso.
Con Meggiorini, senza la sicurezza di un contratto per Bianchi, senza Ogbonna,
e con tutti gli altri turbamenti che si annidano nello spogliatoio perdere
sarebbe aprire un pericoloso periodo critico.
Fulvio
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