martedì 6 settembre 2011

Di chi è il Toro?

Il dubbio si insinua, perché la domanda in realtà non è retorica nonostante per molti la risposta sia scontata. Evidente forse, uguale per tutti certamente no.
Il Toro è una società sportiva, quindi il suo possesso è di chi investe in essa del denaro o è di chi sopravviverà per sempre come memoria storica e linfa vitale? E’ del presidente di turno o della tifoseria granata?
La risposta più semplice e pragmatica è una soltanto: una società privata è ufficialmente intestata al suo presidente che, salvo titoli onorari di facciata, è anche colui che guadagna o perde denaro a seconda della sua competenza gestionale. Il Torino Fc è dunque di Urbano Cairo.
La seconda possibilità è certamente più romantica, ma al contempo tortuosa da argomentare. Una società sportiva che voglia esistere a dispetto dei risultati e delle successioni presidenziali ha a disposizione una sola costante: la tifoseria. Passano i proprietari, scorrono gli album di figurine, sulla panchina si siede un allenatore dopo l’altro, ma i colori sono sempre gli stessi e a sventolarli ci pensano per decine e decine di anni i medesimi volti; scomparsi quelli a rimpiazzarli sono spesso i familiari, gli amici di tutta una vita, i fratelli di tifo…
Dovendo preoccuparsi di non azzardare risposte decontestualizzate dall’economia contemporanea, tanto la prima quanto la seconda possibilità risulterebbero parziali. Nel calcio dei contratti faraonici e delle ingenti spese gestionali è realmente difficile chiudere tutte le stagioni in attivo, quindi qualche facoltoso imprenditore che di tasca propria rimpinguerà le casse societarie ci vorrà sempre. Tra i contratti faraonici non si devono considerare solo quelli generosamente elargiti ai giocatori, ma anche quelli legati alla produzione multimediale: in base a cosa si spartiscono i ricavi di radio e televisioni? Tra gli altri fattori anche in base al bacino di utenza ed al numero di tifosi acclarati. Quindi più tifosi ci sono e più potenziali soldi ha a disposizione una società sportiva.
Il circolo vizioso si spezzerebbe con l’azionariato popolare, la qual pratica è tuttavia sostanzialmente sconosciuta in Italia; premettendo che la sua effettiva stabilità non è ancora stata testata a sud delle Alpi, si consideri che il nostro è un paese in cui il potere politico si lega molto più facilmente ai singoli individui, dunque i dubbi circa l’efficienza dell’azionariato restano. La realtà, piaccia o meno, è comunque che attualmente il Toro non è gestito con questo sistema, sicchè la domanda “di chi è il Toro” continua a porsi in essere.
Razionalmente si ha l’impressione che in caso di realtà medio-grandi, qual è potenzialmente la piazza granata, la scelta più comoda possa ricadere in una diplomatica via di mezzo tra presidente proprietario e tifoseria. In Italia nemmeno Moratti, sicuramente l’unico vero magnate benefattore del calcio, potrebbe rinunciare a cuor leggero alle decine e decine di milioni legate a diritti tv e merchandising. In assenza di un vero nababbo in grado di considerare inezie 40 o 50 milioni di euro, qualunque proprietario avrà sempre bisogno di un background solido che possa consentire entrate costanti in grado di ammortizzare i suoi esborsi personali.
Dunque, si configura una realtà di interdipendenza tra le parti il cui obiettivo primario dovrebbe essere unico per entrambe. Giunti a questo punto gli schieramenti proliferano.
Chi ci garantisce che il presidente non sia un profittatore a caccia di popolarità e soldi facili? A maggior ragione riferendosi ad Urbano Cairo il dubbio potrebbe essere giustificabile: preso il Toro a poche migliaia di euro, avrebbe potuto speculare tranquillamente. D’altro canto, ribatte lo schieramento contrapposto, gli investimenti fatti in questi anni sono sotto gli occhi di tutti: non si può oggettivamente far finta di non notare gli acquisti relativamente onerosi e, soprattutto, i contratti troppo remunerativi a giocatori che hanno successivamente deluso a livello umano e sportivo.
Sul tema: chi ci garantisce, ad ogni buon conto, che la tifoseria organizzata non abbia interessi economici nel prediligere questo o quel presidente? Come si può dar credito alle parole di chi afferma orgogliosamente “meglio falliti piuttosto che con tizio”? Per contro, la replica è semplice: fino ad ora abbiamo assistito a contestazioni nei confronti di tutti gli ultimi cinque presidenti, quindi la garanzia che non ci siano interessi dietro se non il bene della squadra è presto dimostrata.
Una domanda sorge a questo punto spontanea: chi ci garantisce, alla fine della fiera, che società e tifosi stiano realmente facendo il possibile per il bene della squadra? Non volendo schierarsi né con l’una, né con l’altra parte, si direbbe che la lotta si sta spostando su un piano prettamente personale: da un lato un imprenditore molto orgoglioso che non accetta né la sconfitta né soggiace alle minacce, dall’altro una fazione che identifica con il demonio l’uomo che, primo in quasi vent’anni, non è scappato a gambe levate non appena il malumore è sfociato in contestazioni esplicite e violente. Da un lato una persona troppo impegnata a difendersi dalle stoccate, dall’altro un gruppo morbosamente attirato dagli affondi. In mezzo, come uno scudo ormai logoro dalle mille e più percosse, il povero torello ormai esangue.
In un momento così delicato, alla faccia della logica più ferrea o della burocrazia più minuziosa, il Toro potrebbe essere semplicemente del primo che si preoccuperà realmente di proporsi positivamente in nome di una seppur minima riscossa.
Concludendo, sul piano legale il Torino Fc ha indubbiamente un unico e riconoscibile proprietario, il quale potrebbe usare la società alla stregue di un giocattolino senza per questo essere perseguibile per legge. Non essendo uno sceicco che pranza a pane ed oro, non essendo un grande conoscitore di calcio, non ci resta che una speranza: impari il più in fretta possibile a destreggiarsi in questa gabbia di matti. Sperperare soldi non è la soluzione e lo abbiamo capito tutti, ma nemmeno lesinare sulle migliaia di euro ci porterà molto lontani.
Sul piano romantico, ma ancor più su quello della memoria storica, il Toro è stato, è e sempre sarà rappresentato in prima istanza dalla sua tifoseria. Ad essa il compito di promuoverne le qualità più naturali; ad essa il compito di proteggerne, a dispetto dei risultati, il blasone e l’onore. Possiamo anche perdere sul campo, ma fuori dovremmo sempre dar l’idea di essere inimitabili. A ben pensarci, studiando un po’ la storia recente del Torino, come un’epifania si è rivelata una realtà piuttosto scioccante: stiamo contestando praticamente da vent’anni. A parere di chi scrive, non è certo in tal modo che si avanzano i diritti di proprietà…
Post pubblicato su Cultura Granata da Paolo il 1 novembre 2010.

1 commento:

  1. Insomma il Toro nn sarà più Toro ma resterà cairese fin quando ci sarà il ciaparat

    saluti

    beppe

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