mercoledì 21 settembre 2011

QUANDO I RAGAZZINI A TORINO TIFAVANO TORO O JUVE.

Nella seconda metà degli anni cinquanta abitavo in quella che allora era estrema periferia: Corso Montecucco.
Poche case e orti e campi di grano dove d’estate fiorivano i papaveri. Lì, di fronte alla fabbrica della Viberti, dopo l’incrocio con via Bardonecchia, c’erano ancora i segni dei bombardamenti avvenuti sulla nostra città durante la guerra. Fra i più evidenti c’erano i resti di una grande fabbrica che probabilmente produceva componenti di armi, ma non ho mai saputo con esattezza quali, circondata da macerie, sterpaglie e cespugli e su due lati, quello verso il corso e quello lungo la via Bardonecchia, da un muro di mattoni a vista con i cocci di vetro impastati nel cemento in cima per dissuadere gli intrusi. Lì si svolgevano i nostri pomeriggi dopo la scuola giocando con le figurine e il “palicia” (in gergo la pietra piatta che si lanciava per colpire e fare proprie le “figu”) o ai ragazzi della via Pal dividendoci in bande in difesa o all’assalto della fabbrica in rovina.
Ma la domenica pomeriggio c’era la partita. Ed era sempre Toro contro Juve. Niente Milan, Inter, Barcellona, Manchester: sempre e solo Toro –Juve. Nel toro con me c’erano i fratelli Tozzi, Franco e Umberto che diventeranno famosi nel mondo della musica. Uno dei più grandi, un certo Luigi, aveva escogitato un sistema pratico: con fogli da disegno ma anche carta da pane, aveva disegnato scudetti del Toro e della Juve che venivano appuntati sul petto con spilli. Il campo era a L con una porta sul lato Montecucco ed una sul lato Bardonecchia. All’incrocio c’era uno del Toro ed uno della Juve (questione di correttezza) che avvisavano i difensori quando il gioco che si svolgeva dietro la curva si dirigeva dalla loro parte. “il bubalo” era il grido d’allarme. Inutile ricordare che il bubalo era, sempre nel gergo che usavamo noi ragazzi, il pallone. A partita in corso, chiunque arrivasse si appuntava lo scudetto al petto ed entrava per diritto nella squadra del cuore. Siccome per regola  non c’erano limiti per cui si giocava a volte anche dodici o tredici contro sei o sette, sempre gli scudetti del Toro finivano e quelli della Juve no. 

Noi eravamo più numerosi e non solo in quell’angolo della città ma anche in parrocchia o ai salesiani dietro Corso Racconigi o qualche anno dopo sul campo del Taurus dietro il Liceo Cavour. Questi sono i ricordi che sempre mi evoca il coro da stadio “Torino è stata e resterà Granata”. Almeno nei cuori dei ragazzi di quella generazione.

Fulvio

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